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CRISI ECONOMICA:

IL PENSIERO DI R. PRODI

2008-12-31

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Mercoledì 31 Dicembre 2008

di ROMANO PRODI

FACENDO un bilancio dell’economia mondiale del 2008, l’unica conclusione possibile è che più presto finisce l’anno meglio è. Non c’è un indicatore che vada bene. Non la crescita, non il commercio internazionale, non l’occupazione.

Solo il calo dell’inflazione è un elemento positivo, ma l’inflazione cala proprio perché tutto il resto va male. Si tratta di una crisi generalizzata e imprevista. Nessuno l’aveva immaginata così profonda e diffusa.

Qualcuno aveva previsto tensioni nei mercati finanziari, altri lo scoppio della bolla immobiliare, ma nessuno pensava che l’intreccio di tutti questi fatti potesse portare ad una caduta così rapida e diffusa dell’economia mondiale.

Non potendo quindi considerare buone le previsioni fatte in passato, non mi sento di avere un maggior grado di fiducia nemmeno nei confronti di coloro che oggi ci presentano raffinati e complicati grafici rispetto al futuro. Previsioni su quando comincerà la ripresa è meglio non farne. I ragionamenti sulla politica più opportuna da adottare sono invece d’obbligo. Per costruire questi ragionamenti partiamo naturalmente dalla constatazione (non è più una previsione) che, globalmente preso, il 2009 sarà un anno di recessione tanto per l’Europa che per gli Stati Uniti. L’Oriente (pur con una sensibile diminuzione dei precedenti tassi di crescita) conoscerà uno sviluppo positivo, ma non a sufficienza per bilanciare la crisi del resto del mondo.

Se non conosciamo i tempi di uscita dalla crisi, conosciamo almeno gli errori da evitare e le decisioni da prendere perché se ne possa al più presto venir fuori più forti e soprattutto più puliti.

Il primo errore è quello di sperare che una soluzione nazionale (di qualsiasi Paese) possa risolvere una crisi che ha cause mondiali. Chi pensa di poterlo fare con il protezionismo, con i sussidi all’esportazione o con estemporanei aiuti alle imprese si sbaglia, perché gli altri Paesi non potranno che reagire con analoghe misure. La recessione si trasformerebbe fatalmente in grande depressione.

Diverso è il caso del salvataggio delle banche (anche se non sono certo esenti da colpe) perché la certezza che il proprio denaro sia al sicuro è condizione del funzionamento stesso di ogni economia. Se si fosse intervenuti a salvare la Lehman Brothers, avremmo certamente evitato momenti di panico in tutto il mondo.

Nell’anno che sta iniziando non vi sono solo errori da evitare, ma anche azioni da compiere. Tra queste non basta iniettare capacità di acquisto nei sistemi economici (come è stato già positivamente compiuto da moltissimi Paesi negli ultimi mesi), ma soprattutto occorre stabilire nuove regole per i mercati e gli operatori finanziari. Regole valide per tutto il mondo.

Mi limito a parlare di regole finanziarie perché stiamo riflettendo sull’economia, ma il mondo è ormai globale in tutti i sensi. Certo non si può vincere la sfida del terrorismo, dell’energia e dell’ambiente senza regole che coinvolgano tutti i grandi attori che agiscono sulla scena mondiale.

Tornando all’economia, bisogna partire dalla constatazione che l’economia globale non è la somma delle economie di tutti i Paesi, ma è qualche cosa di diverso, perché le diverse nazioni, se non agiscono in armonia, si distruggono reciprocamente.

Un primo passo in questa direzione è stato compiuto con la sostituzione del G8 con il G20, un’assise in cui, accanto all’Europa, all’America e al Giappone, sono presenti i nuovi protagonisti dell’economia mondiale, a partire dalla Cina e dall’India.

Bisogna però che il G20 non sia solo una riunione di emergenza, ma il luogo in cui si propongano e si impongano le riforme dei mercati finanziari e monetari di cui il mondo ha urgente bisogno.

Ci vorrà tempo, perché anche la riforma di Bretton Woods era stata preceduta da due anni di intenso lavoro tecnico e politico, ma non vi è altra strada per mettere lo sviluppo del mondo su un binario virtuoso. Se infatti rimarranno regole nebulose e frammentate, mercati grigi in cui tutto si ricicla, istituzioni finanziarie che non rendono conto a nessuno della propria attività, non potremo che passare da una crisi a un’altra crisi.

Non bisogna nascondere il fatto che questa riforma è un compito difficilissimo. Così difficile che, quando si è cercato di promuoverla nell’ambito dell’Unione europea, gli interessi e i veti dei diversi Paesi hanno trasformato il progetto di un leone in un disegno di un gattino.

Se questo avviene nell’ambito europeo, figuriamoci come sarà difficile riscrivere queste regole di comportamento e di trasparenza a livello mondiale!

Concludendo con alcune telegrafiche riflessioni possiamo dire che i governi stanno generalmente agendo nella direzione giusta per uscire dalla crisi, ma non sappiamo quando queste azioni daranno frutto, perché nessuno conosce ancora le dimensioni della crisi.

Ma soprattutto dobbiamo riconoscere che, se non si riscrivono nuove regole comuni per il funzionamento dei mercati, la ripresa sarà soltanto la preparazione della prossima crisi.

 

 

       

 

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